Se mi chiedessero come vedo il futuro della moda dopo aver visitato la mostra “Sustainable Thinking” al Museo Ferragamo di Firenze, risponderei, senza ombra di dubbio, che lo vedo a colori. Un arcobaleno fatto di sfumature diverse, tutte incoraggianti, che porteranno la moda non solo a mitigare le colpe più feroci in ambito di sostenibilità ambientale, ma anche a costruire un mondo impregnato di una nuova sensibilità e responsabilità, che di fatto esiste già, ma che necessita di essere ampliata e condivisa.
Un lavoro complesso, iniziando dal titolo
Partiamo dal titolo. Non contiene affatto la parola fashion, ma esprime l’ideale di una visione sostenibile. Un pensiero, inteso nella sua totalità, che si deve fare sostenibile. Dietro un abito c’è molto di più. E un abito può fare molto di più che essere indossato o essere in mostra.
Vediamo se alla fine dell’articolo sarete d’accordo con quest’affermazione.
Color color color…arcobaleno
Nel segno del colore elencheremo qui alcune opere in mostra: moda, arte, innovazione, ecc. Tutto sotto il cappello del multicolor.
L’arcobaleno è nel DNA di casa Ferragamo. Fu Salvatore Ferragamo che, per ottemperare agli obblighi dell’Italia in guerra in cui si proibiva l’utilizzo dei pellami riservati solo alle calzature militari, acuì il suo ingegno nel trovare e lavorare nuove fibre naturali: feltro, canapa, sughero, cotone, paglia, ortica. Un precursore dei tempi. In mostra al centro di una delle prime sale troviamo i sandali Rainbow Future rifatti nel 2018 sul modello del leggendario Rainbow che Salvatore Ferragamo realizzò nel 1938 per l’attrice Judy Garland. Un video racconta la realizzazione dei Rainbow Future con materiali completamente naturali.
Rainbow ha ispirato anche la designer Katie Jones in mostra con Somewhere over the Rainbow, una giacca patchwork in pelle ottenuta con pellami di riciclo uniti a mano con la tecnica del crochet.
L’arcobaleno ci avvolge anche nell’installazione site specific “Invasion” (2019) dell’artista Pascale Marthine Tayou. Cannucce di plastica colorate si intrecciano sulle nostre teste, alle pareti alcune scritte in neon corrispondono alle coordinate geografiche di alcuni dei luoghi più inquinati del pianeta.
Anche El Anatsui, il principale artista africano della sua generazione, dà il suo contributo di colore con l’arazzo “Energy Spill” (2010) ricavato da materiali di recupero. Lattine e altri detriti, compressi e lavorati, creano le tessere di un mosaico, le cui pieghe e ondeggiamenti non sono prevedibili. Un colpo d’occhio da lontano, una piacevole sorpresa da vicino. Il risultato è semplicemente bellissimo.
Il tessuto multicolore del cappotto No Address Needed to Join ci resta impresso, non solo per il colore. La designer inglese Bethany Williams lavora con le persone in difficoltà. Udite udite. Il soprabito è creato con filati riciclati al 100% e scarti editoriali. In collaborazione con la Quaker Mobile Library, la biblioteca londinese che fornisce libri in prestito a persone senza fissa dimora e la casa editrice Hachette UK. È stato materialmente prodotto dalle mani di giovani donne della comunità di San Patrignano. Un gioco di squadra ricco di rimandi. Il processo supera il risultato.
Torna prepotentemente l’arte nell’ultima sezione del percorso della mostra. Non si può non citare il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto qui visibile in un’installazione di cartone e filati. Quando nel 2003 Pistoletto, uno dei massimi esponenti dell’Arte Povera, immagina il Terzo Paradiso sta già spingendo tutte le sue forze nell’ideale riappacificazione tra uomo e natura, nella costruzione di uno luogo di riconciliazione, il Terzo Paradiso appunto, rappresentato dal cerchio centrale che è il grembo generativo di una nuova umanità più responsabile.
I Tappeti-Natura super colorati dell’artista torinese Piero Gilardi ci riportano ad una natura iperrealistica di cui sottolineano l’aspetto artificiale. Una critica verso l’operato umano a discapito della natura, e allo stesso tempo, un invito al pubblico a toccare le opere e a fruirne liberamente, uno spazio gioco.
E non chiamateli avanzi!
Cosa si può produrre con gli scarti di altre lavorazioni? Maria Sole Ferragamo, giovane stilista di famiglia, illumina la mostra con l’abito Artemisia del 2018 realizzato con pellami di scarto della Salvatore Ferragamo. Come un sole che si avviluppa con i suoi raggi sul corpo femminile, quasi una scultura tattile.
Pezzi combinati, genial!
La designer Lucía Chain parla di migrazione con un abito geniale dal titolo Chain, praticamente il suo cognome, un marchio di famiglia. 23 sono i pezzi di cui si compone la sua creazione, tutti componibili e intercambiabili. 23 erano gli indumenti che sua nonna ha portato in valigia quando è migrata dall’Europa all’Argentina.
Di fronte all’abito di Flavia La Rocca francamente mi inchino. 3 aggettivi. Bellissimo, modulare, componibile. Un video posto accanto all’abito mostra le 30 diverse combinazioni con cui l’abito si può indossare variando il numero degli indumenti, la posizione e giocando con gli accessori a corredo. 5 moduli, 3 cinturini, 1 colletto e 2 baschine intercambiabili e rimovibili. I materiali sono completamente sostenibili o riciclati, e i vari pezzi sono uniti o divisi da zip invisibili. Geniale!
Attenzione, non buttare ma piuttosto rammendare
Se io vi parlassi di rammendo creativo? Esiste un’antica tecnica giapponese chiamata Boro Sashiko che recupera tessuti di lino usato (boro) e li cuce insieme per confezionare pezzi unici ed irripetibili, come la giacca Up-cycled Boro Jacket realizzata dall’azienda KUON Tokyo.
Innovazione che emozione
Che cosa vi evoca la parola innovazione? Personalmente l’ho sempre vista come una parola fredda, non in grado di suscitare emozioni. Dopo aver visto le creazioni che vi cito ho cambiato idea.
Quali sono le donne che si sono distinte nei settori S.T.E.A.M. (Science – Technology – Engineering – Art & Design – Mathematics -Media)? “Chiamiamole per nome” deve aver pensato la designer Sylvia Heisel quando ha creato il suo abito in tessuto WilloFlex stampato con stampante 3D Ultimaker.
I bellissimi raincoat di Luisa Cevese vorrete indossarli al primo giorno di pioggia. Avvicinarsi per cogliere la composizione del materiale aiuterà a capire come sono stati prodotti. Tre impermeabili con fili di lurex inseriti tra due strati di tessuto chiamato dalla stilista Undici (1+1= 11) in poliestere, poliammide, poliuretano e viscosa. Evviva la pioggia.
Di fronte all’abito in fibra di vetro Lucciole di Matteo Thiela lo stupore è grande. Le piccole pailettes nascoste tra i fili sembrano davvero lucciole che si illuminano nei campi d’estate. L’abito è una vera e propria scultura indossabile. Molto plastico, pieghe scolpite, da sogno! Gioco di sguardi con un’altra visitatrice alla mostra e poi ci chiediamo all’unisono: “Sarà pesante?”. Guardiamo meglio, come a trovare la risposta tra le trame, e sentenziamo: “No”.
Non sono certa che sia così non avendolo provato, ma innovazione potrebbe essere anche questo. Donare peso scultoreo a qualcosa che peso non ha.
Che la forza (della grafite) sia con te! È la prima cosa che mi è venuta in mente guardando il progetto dell’azienda WRAD, Graphi-Tee endorsed Perpetua 2019.
La t-shirt della mostra Sustainable Thinking in tessuto jersey in 100% cotone organico è stata tinta in grigio con metodo GRAPHI-TEE usando grafite riciclata da scarti di lavorazione. Anche in questo caso il video a supporto è fondamentale per cogliere il processo.
Sustainable Thinking – 3 motivi per visitarla (oltre a tutti quelli che vi abbiamo già descritto)
Per l’allestimento top. Molti tessuti in mostra si possono toccare, cadono dalle pareti per diventare quinte sceniche da percepire in modo diretto.
Please, touch it!
Per la serietà della mostra. Si comprende chiaramente l’importanza che la Fondazione Ferragamo sta dando alla sostenibilità, e questo è testimoniato anche dal coinvolgimento di pubblici e target diversi, dipendenti inclusi. Lodevoli i progetti con il liceo classico Michelangiolo di Firenze, con la comunità di San Patrignano, e con gli artisti di Exactitudes insieme agli impiegati dell’azienda sul tema della diversità. Fermatevi a guardare i video presenti al termine della mostra per saperne di più!
Perchè la Responsabilità Sociale d’impresa alla Fondazione Ferragamo non è fatta di slogan privi di concrete azioni. La CSR in Ferragamo si traduce, ad esempio, nel tramutare l’importo della stampa (mancata) dei biglietti di auguri natalizi in 2 borse lavoro annuali per aiutare due ragazze a continuare nella loro esperienza presso il settore pelletteria della comunità di San Patrignano. Complimenti!
Sustainable Thinking
Museo Salvatore Ferragamo
Palazzo Spini Feroni
Firenze
Fino all’8 marzo 2020
Orario: 10 – 19:30
A cura di:
Giusy Bettoni
Arabella S. Natalini
Stefania Ricci
Sara Sozzani Maino
Marina Spadafora
Non avete tempo per visitare la mostra ora? Don’t worry, è aperta fino all’8 marzo 2020. Cliccate qui per i dettagli.
Se vi interessa il proficuo rapporto tra arte e impresa, forse vi piacerà leggere il nostro articolo della contributor arte Manuela Contino sul marchio Burberry.