A prima vista il libro “M come Moda” della giornalista e insegnante Giulia Rossi edito da Pedragon sembrerebbe un glossario della moda. Avrete già capito che definirlo così è assolutamente riduttivo. In ogni pagina c’è un caposaldo della moda visto attraverso le lenti della cultura. Proprio come se indossassimo degli occhiali, le lenti della cultura non servono ad ingrandire i caratteri per i miopi, e nemmeno a mettere a fuoco per gli astigmatici, piuttosto sono funzionali ad “unire i punti” tra il sistema semiotico della moda, e i libri, i film, i trend, gli Amarcord, le note musicali e tutto quello che potete immaginare sia collegato ad essa, includendo i vostri ricordi e vissuti.
Una lettura personale distillata in 130 pagine, ma di cui offrirò le 8 che più mi hanno incuriosito di M come Moda, dalla A alla Z perché il libro si sviluppa seguendo l’alfabeto, ovviamente della moda. Ad ogni voce Giulia Rossi abbina un libro, un’opera d’arte, una canzone, un film che “fotografa” il capo prescelto.
C come Camicia
Bipartisan e gender equal, presente nel guardaroba di lui e di lei. Un vero classico: la camicia. Protagonista della scena della pioggia di camicie di varia foggia in un momento di stordimento felice nel libro del Grande Gatsby, di cui vi avevo già parlato nel mio articolo Libri&Outfit, nasce prima degli anni Venti. Successivamente diventa simbolo dell’abbigliamento dandy. Se lei la ruba a lui, la camicia, specie quella bianca, rappresenta l’indipendenza femminile dal carattere razionale e rigoroso. Come possiamo non ricordare il colletto alzato di Katharine Hepburn, o la camicia rock di Patti Smith, in uno dei suoi ritratti più celebri?
Tornando al genio italico, se dici “camicia” dici Gianfranco Ferrè, la cifra stilistica di tutta la sua carriera. Le top più celebri, improbabili imbianchini, posano nello scatto di Demarchelier nel 1992 in camicia bianca con nodo e jeans. Recentemente Kasia Smutniak sul red carpet di Venezia 2023 ha portato un look androgino rigoroso con camicia e cravatta (firmato Valentino), analogamente ad uno degli outfit di Mahmood a Sanremo 2022.
Cannottiera alla moda
Ha attirato parecchio la mia attenzione l’indumento della cannottiera. Verso la metà dell’Ottocento inizia ad essere chiamata “wife beater“(picchia donne) e pare che il nome derivi da un caso di cronaca del 1947 di un americano che uccide la moglie (che novità) indossando una cannottiera bianca. Ad appannaggio della classe operaia nelle origini, si fa strada un po’ ovunque. Nel cinema con il bello e dannato James Dean, in politica con il meno bello ma sicuramente incisivo Umberto Bossi che la utilizza per avvicinarsi al target del suo elettorato. Sale in passerella con il brand Dolce&Gabbana nella collezione maschile e campagna A/I 1989-1990. La cannottiera si spalma con disinvoltura nello stile anni ’90 e nel minimalismo del 2000. Oggi probabilmente la chiamiamo crop top perché il linguaggio della moda evolve, ma la radice è esattamente la stessa.
Gilet, che passione!
Se c’è un capo che solletica la mia curiosità in “M come moda” è il gilet. Fa parte del completo a 3 pezzi da uomo (giacca, pantalone e gilet o panciotto) nel guardaroba maschile di un tempo. L’origine del termine deriva dalla parola turca yelek, che indica una giacca senza maniche indossata nell’Impero ottomano. Il british style lo celebra oltremanica e in Italia è indossato da attori e intellettuali italiani, uno su tutti Marcello Mastroianni. Anche la donna non lo disdegna ed ecco la favolosa Diane Keaton in uno degli outfit più memorabili del film di Woody Allen “Io ed Annie” del 1977. Interessante l’uscita di contesto dei gilet, usati in versione catarifrangente nel campo della sicurezza stradale e delle proteste francesi dei famosi “gilet gialli“.
Guanti come eleganza
Nella voce dedicata ai guanti in “M come moda” la parola che ricorre più spesso è ovviamente eleganza. L’associazione è chiara. Eppure i guanti nascono con intenti pratici. Pare che derivino da alcune bende utilizzate dalle Grazie, figure mitologiche, per coprire le mani ferite di Venere. Infilare o sfilare i guanti attira o distrae l’attenzione dell’interlocutore. Campionesse in tal senso sono state la Regina Elisabetta I, che li toglieva e rimetteva per sviare l’attenzione mentre parlava, e Grace Kelly che attirò l’attenzione di Hitchcock presentandosi al provino del film “il delitto perfetto” con un paio di guanti bianchi.
Cifre da capogiro sono state battute all’asta per il guanto di cristalli di Michael Jackson. Nel complesso i guanti sono sinonimo di stile sofisticato e anche un po’ sexy per tutti i comuni mortali. La Duchessa Kate Middleton, in uno dei suoi tentativi di avvicinarsi al popolo, riutilizza per un’occasione di Gala un abito già indossato ridandogli nuova linfa proprio con un paio di guanti, stavolta neri.
La moda Marinière
Chi sfoggia una maglietta a maniche lunghe con righe orizzontali blu e bianche, meglio se accompagnate da pantalone blu navy e basco, a qualsiasi latitudine si trovi, farà pensare allo stile marinario che parla sicuramente francese. Colei che ne intuisce il potenziale iconico è quel genio di Coco Chanel quando, agli albori della sua carriera, sulle spiagge della Normandia comincia a vestire (perché a quei tempi ci si vestiva per andare al mare) così le borghesi in vacanza sul litorale. Dalla Francia all’Italia, lo stile marinario è sinonimo di upper class, come la stessa Susanna Agnelli fa facilmente intuire nel suo romanzo più celebre, intitolato, appunto “Vestivamo alla marinara” del 1975. Tantissime le icone della moda e dell’arte che hanno indossato le stripes da marinaretto. Film scelto da Giulia Rossi per questa voce: Brigitte Bardot in “Il disprezzo” di Jean-Luc Godard (1963).
Perle alla moda
Travalicano le epoche senza mostrare i tanti anni che hanno. Sono le perle, già usate dai romani all’epoca di Giulio Cesare e arrivate a noi praticamente senza rughe. Rimandano ad un immaginario di ragazza bonton, vestita con twinset e ballerine, ma sanno anche essere rock e contemporanee in tempi più recenti. Nel primo caso ricorderemo la futura sposa Cameron Diaz nel film “Il Matrimonio del mio migliore amico”, nel secondo i look di Mahmood e Blanco a Sanremo o di Harry Style firmato Gucci. PS: se vedete collane con tanti fili di perle scivolare sulla schiena, sappiate che il merito è, ancora una volta, di Chanel.
Pois o Polka dots
C’è molta arte nella voce “Polka dots” del libro M come Moda. I pois caratterizzano quasi tutta la produzione artistica della giapponese Yayoi Kusama. Se siete andati al Giardino dei Tarocchi di Capalbio non vi saranno passati inosservati i pois presenti nelle opere dell’artista Niki de Saint Phalle. I pois sono sinonimo di allegria, tendenzialmente retrò, raffinati e divertenti. Piacciono a Christian Dior e non passano mai di moda, dall’abito di Pretty Woman in cui si infila raggiante Julia Roberts per presenziare ad una partita di polo a Kate Middleton in un abito di Alexandra Rich. Film scelto, ça va sans dire, Pretty Woman.
S come Surrealista
Di nuovo l’arte parla il linguaggio della moda nella voce “Surrealista” in M come moda. Anni Venti del Novecento: arte e moda vanno a braccetto, letteralmente. Si incontrano nei caffè letterari di Parigi artisti surrealisti del calibro di Duchamp, Man Ray, Salvador Dalì, Renè Magritte e designer di moda come Elsa Schiaparelli e la rivale Coco Chanel. La contaminazione è forte. La Duchessa di Windsor indossa il famoso abito aragosta della Schiaparelli nel 1937. Ma cos’è il Surrealismo? Pensare fuori dai canoni, ritrovare il senso del meraviglioso ed esprimersi in libertà, senza limiti estetici o morali. La corrente surrealista, nell’arte e nella moda, resta attuale, perché da sempre l’uomo cerca modi per fuggire dalla realtà. Forse è anche per questo che il brand Schiaparelli, sollevato dalle ceneri e affidato al designer texano Daniel Roseberry, è tornato con il vento in poppa. Ricordate gli abiti scultura della Ferragni a Sanremo?
Non ha la pretesa di essere esaustivo il glossario di M come moda di Giulia Rossi e non potrebbe mai esserlo perché la moda è, al pari di una lingua, un sistema vivo e pertanto mutevole. Non vi abbandono senza aver elencato alcuni termini che potrete sfoggiare in qualche conversazione con amici (un po’ come si fa con l’ultima serie Netflix) e che riflettono inevitabilmente i nostri tempi.
Con l’espressione “Modest fashion” si indica un abbigliamento modesto, con l’obiettivo di non destare l’attenzione e di allontanare l’associazione di corpo come oggetto, associata a culti religiosi che impongono, ad esempio, la copertura del capo. Se indossate un paio di Crocs o di Birkenstock probabilmente siete anche voi cadute nella rete dell’ ugly fashion, letteralmente “moda brutta”. In realtà più che brutta è una moda che si disinteressa del giudizio degli altri, ma che spesso piace e vende tantissimo. Se qualcuno vi fa i complimenti per i vostri Windsor glasses, non prendetela male. Si riferisce agli occhialetti di forma tonda, la prima montatura mai esistita, indossata dal XIII secolo fino ai giorni nostri. Vi dice niente Harry Potter?
Altre cose curiose da sfoggiare in conversazioni noiose. Lo sapevate che il cappello Panama è stato di chiarato nel 2012 Patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco, e che se qualcuno vi fotografa in strada senza chiedervi di mettervi in posa, forse sta realizzando un servizio di street photography? Non rincorretelo per favore. Magari vi ritrovate protagonisti di qualche trend mondiale su Tumblr o TikTok dando il via all’ennesimo hashtag virale, al pari del #cottagecore o del #barbiecore. Cosa sono? Per saperlo dovrete sfogliare le pagine di M come moda.
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M come Moda
di Giulia Rossi
Edito da Pedragon
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