“Una delle verità della fotografia è che i migliori street photographer imparano ad essere invisibili, o se non altro a convincersi di esserlo”.
– Joel Meyerowitz –
La storia della fotografa Vivian Maier è davvero straordinaria. Dapprima l’invisibilità, poi il breve oblio, e poi la risalita fino alla fama mondiale postuma, quasi un’operazione di marketing di grande successo. Lo spazio Forma Meravigli di Milano ha dedicato a Vivian Maier una retrospettiva fotografica a cura di Alessandra Mauro. Questa volta ad essere privilegiato è l’uso che la Maier fa del colore, ancora una dimostrazione del suo essere pioniera anche in questo campo.
Nel catalogo pubblicato dalla casa editrice Contrasto l’attenzione è focalizzata sul periodo che va dagli anni Cinquanta alla metà degli anni ’70. In questo articolo vi proporrò 3 moodboard per raccontare attraverso gli abiti e gli accessori la personalità della fotografa, le donne che lei ritraeva, e capire meglio il periodo storico americano di cui Vivian è stata testimone dietro le sue lenti focali.
Vivian Maier, la donna del mistero
Pare che l’anonima bambinaia Vivian Maier avesse una volta esclamato ai bambini che accudiva guardandoli dritti negli occhi: “Sono la donna del mistero!”. Un po’ per gioco, un po’ sul serio, lei stessa era consapevole che stava vivendo su un doppio binario.
Una fotografa straordinaria che vestiva la semplicità di una nanny amorevole. Quando nel 2009 il giovane artista John Maloof acquista una cassetta contenente diapositive, negativi e alcuni scatti appartenuti alla sconosciuta Vivian Maier non può immaginare la portata extra-ordinaria della fotografa. Ma più li guarda, più gli sembra che abbiano qualcosa di davvero speciale. Si fida del suo intuito e contatta Joel Meyerowitz, affermato fotografo che nel catalogo Contrasto racconta di quella telefonata.
Da qui parte la storia di riscatto dell’anonimato di Vivian, una donna che voleva solo fotografare e che non perdeva occasione di farlo in qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi modo, avvicinandosi in maniera impalpabile ai soggetti, alle situazioni e a tutti quei momenti di una vita quotidiana eppure non banale che le fluivano intorno. Era quasi una terapia per Vivian, un’operazione maieutica che la faceva star bene. E poi “chi avrebbe mai potuto sospettare di una bambinaia?”.
Moodboard 1 – Vivian Maier
Il “mantello di invisibile” che Meyerowitz cita nel suo testo introduttivo è evidente anche nei suoi outfit, dove la macchina fotografica spicca come accessorio “mai senza”, corredato da indumenti dai colori tenui e dai modelli basici. Gonna anni ’50 larga, scarpe basse, capelli raccolti, zero trucco, niente orpelli. Eppure il suo sguardo parla chiaro: “guardami bene, non sono quello che ti aspetti!”.
“Rubo i dettagli delle donne”
Mani intrecciate dietro la schiena e un abito rosso a fantasia stretto in vita. Alla Maier piace cogliere degli attimi, dei brevi frangenti eventualmente insignificanti a chi non ha il suo sguardo, per lei invece rivelatori di un mondo di affetti e relazioni sociali. Come in una gag ironica spesso si presenta alle spalle e “click”, li immortala nella sua rete fotografica, come un ragno che velocemente fagocita la sua preda.
Le donne ritratte da Vivian sono quelle che lei ha potuto osservare prima tra le strade di New York, e poi in quelle di Chicago dove si trasferì nel 1956 per lavorare sempre come bambinaia per la famiglia Gensburg.
Moodboard 2 – Le donne di Vivian Maier
Corolla dress, abiti stretti in vita con gonne large e fluttuanti, orecchini a bottone spesso preziosi, guanti, borsette, colli di pelliccia e poi cappellini, tanti cappellini con velette, nastri, fiocchi e fiori. La moda americana anni ’50 esaltava la figura femminile con maggiore o minore ostentazione e lasciava largo spazio agli accessori. Mai uscire senza borsetta e guanti ben stretti tra le mani. Ops, non dimentichiamoci gli occhiali all’insù e un tocco di rossetto.
Bianchi e neri, gli anni dei contrasti nella società americana
Il tempo in cui vive Vivian Maier è segnato da nette differenze sociali ed economiche tra i bianchi e i neri. Gli afroamericani costretti ai margini della società, la stessa società in cui co-abitavano con i bianchi in cerca di conferme del loro benessere, sicurezza e prosperità. In una foto di Vivian Maier si osserva una fila di borghesi che legge il giornale vista dall’altro lato del marciapiede attraverso gli occhi di due donne di colore. In un solo scatto Vivian riesce a cogliere tutta la lontananza che esiste tra le due prospettive.
Come si legge nel catalogo Contrasto però “tra i tardi anni Settanta e i primi anni Ottanta gli afroamericani sono protagonisti di immagini più ottimistiche. Vivian appare consapevole di come, anche in una città di pregiudizi razziali così radicata come Chicago, gli afroamericani poco a poco, inizino ad occupare nuove posizioni nel contesto cittadino, non solo a livello economico, ma anche politico. Lei continuò a fotografare gli afroamericani anche nei decenni successivi, utilizzando pellicole a colori e dando così vita ad un ritratto più inclusivo della società americana”. A testimonianza di questo troviamo infatti uno scatto in cui la Maier immortala una giovane donna elegante mentre tiene in mano il manifesto del primo sindaco afroamericano di Chicago, Harold Washington.
Moodboard 3 – Il tempo di Vivian Maier
Il moodboard dedicato al tempo di Vivian Maier odora di carta stampata, è frivolo come una donna con un basco di lana e rigoroso come un abito da uomo. Gioca sulle contrapposizioni tra bianchi e neri, tra un’idea di progresso e una società che chiede di restare ancorata alla propria bandiera, mentre la storia fa il suo corso e si apre al futuro.
Vivian Maier. A colori
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